Il diritto commerciale (in inglese: commercial law) è una branca del diritto privato che regola i rapporti attinenti alla produzione e allo scambio della ricchezza. Più in particolare, regola ed ha per oggetto i contratti conclusi tra operatori economici e tra essi ed i loro clienti privati (persone fisiche), nonché gli atti e le attività delle società. Comprende quindi anche il diritto privato delle società.
Fondatore del diritto commerciale è considerato il giurista cinquecentesco anconitano Benvenuto Stracca[1], che nel 1553 pubblicò il De mercatura seu mercatore tractatus, con il quale per la prima volta il diritto commerciale venne considerato come un complesso di norme distinto sia dal diritto civile sia da quello canonico.
Nel corso del Medioevo, infatti, l’intensa attività commerciale che si era sviluppata nelle città italiane aveva creato la necessità di formare una specifica regolamentazione. Le prime norme che disciplinarono il commercio erano di tipo consuetudinario; vennero su questa base allora istituiti: il registro dei commercianti, le varie specie di società, la cambiale, gli affari di banca, le assicurazioni, il cambio marittimo, l’avaria, il fallimento. Nella creazione di tutte queste istituzioni le repubbliche marinare e le altre città commerciali italiane ebbero dunque un ruolo fondamentale[1].
Benvenuto Stracca sistemò tutto ciò, elaborando una sistemazione organica ed autonoma delle norme del diritto commerciale e, pur essendo un ammiratore del diritto romano, ritenne spesso necessario preferirgli le consuetudini moderne, più rispondenti alle nuove necessità. Si può anzi dire che, in base al pensiero dello Stracca, il diritto commerciale deve sempre rispondere alle mutevoli esigenze della società[1].
Il diritto commerciale si sviluppa intorno alla nozione di imprenditore e impresa, e si occupa in particolare della disciplina delle imprese organizzate in forma societaria(nonché di altri istituti quali i titoli di credito o i cosiddetti contratti commerciali, che rilevano soprattutto nei rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e consumatori). Esso quindi studia, nei vari aspetti, l’attività imprenditoriale e l’esercizio dell’impresa, sia ad opera del singolo, sia ad opera di un gruppo organizzato (come, ad esempio, società o consorzi). Al diritto in parola pervengono altresì gli studi sull’azienda, sulle procedure concorsuali, sulla regolamentazione dei contratti d’impresa, sui titoli di credito (es. assegni, cambiali), sui segni distintivi e sui diritti di privativa, sulle modalità di repressione della concorrenza sleale.
Inoltre, la sempre maggiore complessità dei fenomeni economici e giuridici comporta che ci s’interessi non solo degli aspetti “privatistici” dell’attività d’impresa, ma si ampli lo spettro d’analisi anche ad ambiti in cui il mondo imprenditoriale viene a rapportarsi con i poteri pubblici, nazionali e sovranazionali (basti pensare al ruolo che svolgono le istituzioni comunitarie). Ecco dunque aperti nuovi ambiti di studio, quali quello sulla regolamentazione dei mercati e della concorrenza, oppure quello delle politiche di antitrust, tutti settori che poco si prestano ad essere incasellati nella categoria del diritto privato, stante la rilevanza, in essi, d’interessi pubblici ed il conseguente intervento di pubblici poteri per la loro tutela, come sopra evidenziato.
Parlando di diritto commerciale ci si riferisce quindi, in senso generale, al diritto degli affari e alle regole del mercato volute dal legislatore per regolamentarne i fenomeni e la vita. D’altra parte esso non va confuso con il diritto industriale seppure le due discipline abbiano diversi punti di contatto[2]. Invece il diritto societario costituisce un ramo del diritto commerciale.
La materia è caratterizzata da una costante esigenza di aggiornamento. Si afferma, talvolta, che il mercato sarebbe in buona parte disciplinato dalla cosiddetta lex mercatoria, per cui sarebbero i “grandi mercanti” (multinazionali, banche, istituzioni finanziarie) a dettare le regole, in forza delle loro posizioni dominati sui mercati di riferimento. La lex mercatoria, prodotta da gruppi detentori di un fattuale potere economico, si sostituirebbe così alle ordinarie e “tradizionali” fonti legislative politiche.
Gli strumenti giuridici utilizzati dalle imprese hanno sempre avuto la caratteristica di adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato con una particolare rapidità, che anticipa spesso l’operato dei legislatori; legislatori, tra l’altro, sempre più in competizione, per attrarre gli investimenti internazionali (si parla di “concorrenza tra ordinamenti”). È, infatti, proprio questo continuo rinnovarsi ad una velocità sconosciuta ad altre branche del diritto, per l’intervento dei singoli attori dell’economia, a caratterizzare dalle sue origini il diritto commerciale ed a guidarne l’evoluzione.
Altre significative evoluzioni nella materia sono intervenute in conseguenza del recepimento di articolate normative Comunitarie che hanno regolato in modo organico materie complesse, come la concorrenza. Il diritto commerciale ruota attorno alla figura dell’imprenditore, per disciplinare le forme attraverso le quali egli opera, gli strumenti dei quali si avvale, la situazione di crisi nella quale può venirsi a trovare. È imprenditore “colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o scambio di beni o servizi” Per poter definire un soggetto imprenditore occorre la presenza di:
Esercizio di un’attività economicaModifica
È un’attività che non si limita al godimento dei beni, ma produce nuove ricchezze e si pone come obiettivo di far fronte a dei costi mediante l’ottenimento di ricavi superiori o uguali alle spese, conseguendo un profitto. L’attività economica è un’attività di rischio essendo possibili delle perdite.
Produzione o scambio di beni o serviziModifica
La produzione e o lo scambio di beni o servizi è esistita ben prima della nascita del diritto commerciale ed avviene tutt’oggi anche al di fuori di esso, le varie modalità sono state ampiamente studiate da sociologi ed etnologi classici come ad esempio Marcel Mauss con Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche. e Marshall Sahlins con L’economia dell’età della pietra.
Tali attività si realizzano o con la produzione di nuovi beni oppure con lo scambio di beni già esistenti sul mercato o, infine, con la erogazione di servizi.
Jeremy Rifkin nella sua opera “L’era dell’accesso” affronta il tema dello scambio di beni e della erogazione di servizi secondo una prospettiva transazionale nell’ambito della new economy ed evidenzia i nuovi rapporti economici che non sono basati sulla proprietà di beni materiali, ma sul diritto di accesso a beni o servizi, quindi sullo sfruttamento del brand più che del prodotto.
La rapidità del ritmo dell’innovazione tecnologica riduce il ciclo di vita dei prodotti, mettendo in discussione il concetto di possesso e quindi della proprietà. I rapporti di proprietà, secondo l’autore, sono infatti compatibili in un’economia che rispetta il requisito dell’esclusività, dato che il possesso di un bene materiale è possibile solo da una delle parti. Nella new economy la negoziazione dell’accesso diventa un elemento fondamentale.
Nel passaggio da una produzione industriale a una produzione culturale, la cultura e la vita degli individui si trasformeranno in merce ed esperienze a pagamento. Quindi l’accesso non sarà più basato sull’appartenenza e sull’inclusione a una comunità, ma uscirà dall’ambito sociale e riguarderà l’ambito economico, in particolare il potere d’acquisto.
L’organizzazioneModifica
Tutti gli elementi personali e materiali usati dall’imprenditore sono tra loro collegati e organizzati in modo unitario in vista dello svolgimento dell’attività economica.
L’esercizio di attività economicaModifica
Non è imprenditore chi svolge attività economica solo occasionalmente. L’esercizio dell’attività economica deve infatti essere abituale, tuttavia per abituale si intende anche un’attività in attiva per una sola parte dell’anno, come per esempio uno stabilimento balneare, purché questo sia continuativo negli anni. Non è imprenditore il professionista: ciò che è essenziale non è il carattere di economicità quanto la natura prevalentemente intellettuale delle prestazioni fornite.
In Italia, le sue fonti sono contenute nel codice civile o in leggi speciali. Ciò si differenzia da quanto accade in diversi altri ordinamenti giuridici, che dispongono di un vero e proprio Codice di Commercio (o Codice delle Obbligazioni, Svizzera), speciale rispetto al codice civile e dedicato espressamente alla materia commercialistica. Anche in Italia, fino al 1942 – anno in cui venne promulgato il Codice civile – era in vigore una simile “duplicazione dei codici” (il previgente Codice Civile risaliva al 1865[3], il Codice di Commercio al 1882).
La scelta di unificare il diritto privato e di far confluire la materia commerciale nel codice civile, compiuta dal legislatore del 1942, comportò la cosiddetta commercializzazione del diritto privato. Fino ad allora, le obbligazioni erano diversamente regolate a seconda dell’ambito (civile o commerciale) in cui potevano iscriversi. Con l’unificazione dei codici, quella che era la specifica disciplina delle obbligazioni commerciali venne così applicata generalmente anche alle obbligazioni “civili”, ossia a quelle non contratte nell’esercizio di attività economiche o commerciali. In Italia, la riforma del diritto societario, operata ai sensi del d.lgs 17 gennaio 2003, n. 6 ed entrata in vigore il 1º gennaio 2004, ha comportato notevoli modifiche alla precedente disciplina del settore.
L’impresa è un’attività economicaprofessionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Il concetto di “impresa” non va confuso con quello di “azienda“, che identifica invece il complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività di impresa, né con quello di “società“, che rappresenta invece uno specifico soggetto giuridico esercente attività di impresa[1]. Si usa anche, come sinonimo di impresa, il termine inglesebusiness (IPA: /ˈbɪznəs/, letteralmente “affari”).
Si può dire che l’impresa sia l’attivitàesercitata dall’imprenditore. L’azienda è il complesso di beni strumentali, il mezzoconcreto (immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse) con cui si esercita l’impresa. La dittaè la denominazione commerciale dell’impresa. Da notare che non tutte le imprese sono esercitate mediante un’azienda (tipico caso dell’impresa individuale) e non sempre l’imprenditore è anche il proprietario dell’azienda. Vi sono alcune aziende che non sono imprese (ad esempio l’ASL) o, anche se solo formalmente, gli studi professionali.
L’impresa è caratterizzata da un determinato scopo (produzione o scambio di beni o servizi) e dalle conseguenti modalità adottate per il suo raggiungimento (organizzazione, economicità e professionalità) attraverso l’impiego di fattori produttivi (capitale, mezzi di produzione, materie prime e forza lavoro) e relativi investimenti. È fondamentale inoltre che l’impresa procuri capitale sufficiente a coprire e superare il costo delle spese di produzione, ossia produca un guadagno o profitto o utile: se questa non è più in grado di sopportare la spesa finisce inevitabilmente col fallire.
L’impresa può essere inoltre definita come un sistema sociale-tecnico aperto. Per sistema si intende un complesso di parti interdipendenti rispetto a un comune obiettivo. Nello specifico, trattandosi di un sistema tecnico-sociale le parti sono costituite da beni quali attrezzature e conoscenze alle quali si affiancano le risorse umane, legate da rapporti sociali.
Un sistema aperto è un metodo di gestione delle risorse che consiste nello scambio con l’esterno di conoscenza e produzione. Pertanto l’impresa può essere considerata come un complesso di interdipendenze tra beni e persone che operano scambiando con l’esterno conoscenze e produzione perseguendo lo stesso obiettivo, ossia la produzione di valore.
Tipicamente l’impresa, nell’ambito della sua attività economico-produttiva, opera nel mercato, che la spinge continuamente al miglioramento del proprio processo produttivo in termini di qualità di prodotto ed efficienza e in innovazione attraverso ricerca e sviluppo, tipicamente ricorrendo a varie possibili forme di investimento.
Con il termine core business si intende l’insieme delle attività principali che contribuiscono maggiormente alla produzione del fatturato. Ad esempio il core business di un’azienda automobilistica è produrre automobili, mentre il core businessdi un’azienda sanitaria è assistere e curare i pazienti. Per un’impresa manifatturiera l’eventuale ricavo da affitto di un immobile non è attività di business. Con riferimento ad un’azienda, i processi di business sono quelli, operativi, che realizzano concretamente il prodotto e conseguono la soddisfazione del cliente (l’amministrazione e finanza, ad esempio, non è un processo di business).
In base al diritto alla concorrenza nazionale e comunitario, esiste attività di impresa ogni volta che un soggetto svolge un’attività di natura economica volta alla produzione o allo scambio di beni e servizi tali da poter accrescere anche solo potenzialmente il grado di concorrenza nel mercato. La nozione di impresa nel diritto antitrust dell’Unione Europea è molto più ampia della disciplina civilistica, che all’articolo 2082 c.c. fissa i requisiti minimi necessari e sufficienti per definire come impresa un’attività caratterizzata da uno specifico scopo e da specifiche modalità di svolgimento(organizzazione, economicità e professionalità). Le modalità di svolgimento riguardano:
- organizzazione: organizzazione dei fattori stabile, complessa e coordinata al fine produttivo. Non necessariamente è presente un’organizzazione di lavoro subordinato e un apparato strumentale fisicamente percepibile (locali, macchinari, mobili), potendosi utilizzare meri mezzi finanziari;
- economicità: non ha natura imprenditoriale chi eroga prodotti o servizi a titolo gratuito o a prezzo politico. L’economicità comporta la presenza di un lucro oggettivo, e la copertura nel lungo termine dei costi con i ricavi;
- professionalità: identificata dalla continuità temporale. sono imprese le attività stagionali (impianti sciistici, stabilimenti balneari), le attività non esclusive (insegnante o impiegato che gestisce un albergo), le imprese di scopo vincolate ad uno specifico progetto (costruzione di un singolo edificio, o ristrutturazione di un bene immobile in vista di una vendita).
TipologiaModifica
Schema delle varie forme che può assumere un’impresa
C’è differenza tra “impresa” (denominazione, ragione sociale, legale rappresentante, iscrizione al Registro delle Imprese) e “attività d’impresa esercitata da persona fisica” (nome e cognome della persona, nessuna iscrizione al Registro delle Imprese). Di seguito la spiegazione della diversa situazione.
- Si parla di impresa individuale (forma individuale) quando il soggetto giuridico è una persona fisica che risponde coi propri beni delle eventuali mancanze dell’impresa: in tal caso non c’è un’autonomia patrimoniale dell’impresa e se questa viene dichiarata fallita, anche l’imprenditore fallisce. Sono concettualmente simili all’impresa individuale quella familiare(formata al 51% dal capofamiglia e al 49% dai suoi familiari, con una parentela non superiore al 2º grado) e quella coniugale(formata solo da marito e moglie). Spesso erroneamente l’impresa individuale è confusa con la ditta individuale[2]. Infatti, la ditta individuale può anche non svolgere attività d’impresa (e pertanto non rivestire la qualifica di impresa individuale) mentre l’impresa individuale è invece sempre una ditta individuale.
- Se l’impresa è esercitata da una persona giuridica assume invece una veste societaria[3] (forme collettive), che può essere di varia natura:
- le società di persone sono caratterizzate da un’autonomia patrimoniale imperfetta, in cui cioè il patrimonio della società non è perfettamente distinto da quello dei soci, per cui i creditori possono rivalersi (se il patrimonio societario è insufficiente) anche sui beni dei soci. Si può avere una società semplice(S.s.) nel caso in cui nsono on sia necessario svolgere un’attività commerciale, ma si abbia la necessità di gestire un’attività (agricola o professionale, come ad esempio uno studio associato); una società in nome collettivo (S.n.c.) in cui tutti i soci sono responsabili (in egual parte e con tutto il loro patrimonio) delle obbligazionidella società; o una società in accomandita semplice (S.a.s.) in cui i soci accomandatari amministrano la società e rispondono con tutto il loro patrimonio mentre i soci accomandantirispondono limitatamente al capitale conferito e non possono amministrare la società (questo tipo permette ad un soggetto di investire in un’impresa senza assumersene i rischi, diventando quindi socio accomandante).
- le società di capitali sono dei soggetti giuridici che godono di autonomia patrimoniale perfetta (il patrimonio della società è distinto da quello dei soci). Se una società di capitali fallisce, i creditori possono attingere solo dal patrimonio della società (capitali, beni immobili, vendita di brevetti posseduti dalla stessa, ecc.). Il patrimonio dei soci non viene intaccato. Una volta esaurito il patrimonio della società, se ci sono ancora debiti, essi restano insoluti. Le possibili forme che può assumere sono: società a responsabilità limitata (S.r.l.), società per azioni (S.p.a.) e società in accomandita per azioni (S.a.p.a.).
- le società cooperative rappresentano una particolare forma societaria, le cui peculiarità sono connesse allo scopo mutualistico che perseguono.
Imprese che producono merci[4]
- Imprese agricole (coltivano la terra, allevano animali, curano cicli biologici, praticano l’attività boschiva)
- Imprese artigianali e industriali (compiono trasformazioni[5] di beni materiali)[6]
Imprese che erogano servizi[7]
- Imprese di trasporto e telecomunicazioni;
- Imprese di distribuzione di energia elettrica, gas, acqua;
- Imprese di commercio e distribuzione;
- Imprese di credito;
- Società di intermediazione finanziaria;
- Imprese di assicurazione;
- Imprese di somministrazione di lavoro e ricerca del personale;
- Imprese che erogano servizi di consulenza;
- Imprese che erogano servizi di formazione professionale;
- Imprese operanti nel settore della cura della salute (convenzionate o meno con il SSN), del benessere, della prevenzione/diagnostica sanitaria (es: ospedali privati, terme, laboratori di analisi mediche, centri di riabilitazione, ecc.);
- Imprese che forniscono servizi di assistenza alle persone quali: baby sitter, asili, badanti, sorveglianti e similari, vigilanza, accettazione o ricevimento cose e persone;
- Società che svolgono attività di contact center;
- Laboratori di analisi, prove e tarature;
- Imprese che forniscono servizi informatici;
- Imprese di facchinaggio e pulizia;
- Organismi di certificazione e di omologazione;
- Imprese che noleggiano mezzi, apparecchiature, strutture, sistemi;
- Imprese che manutengono infrastrutture di proprietà di terzi e/o gestiscono i servizi connessi (cioè il facility management);
- Imprese per la manutenzione del verde (giardinaggio, disboscamento, taglio boschivo);
- Imprese di installazione, manutenzione e/o assistenza post vendita, monitoraggio, riparazione di impianti, apparecchiature, sistemi, macchine ed attrezzature, opere in genere;
- Imprese di intermediazione commerciale (agenti e rappresentanti);
- Imprese di partecipazione finanziaria (holding), di intermediazione finanziaria, di utilizzo di concessioni pubbliche;
- Imprese dell’intrattenimento, dello spettacolo, della cultura, della formazione e dell’informazione;
- Imprese del turismo e della ristorazione.
Un’azienda (ramo d’azienda se si tratta di una parte della medesima, solitamente preposta ad attività specifiche) in economia aziendale, è un’organizzazione di beni e capitale umano finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani attraverso la produzione, la distribuzione o il consumo di beni economicie servizi verso clienti, strutturata secondo una certa organizzazione aziendale e amministrata secondo una certa amministrazione aziendale (governance) da parte del management aziendale.
Il soggetto che conduce l’attività economica è anche detto imprenditore, mentre il complesso delle funzioni aziendali che l’azienda esercita per il raggiungimento degli obiettivi prefissati (core business) è detta attività aziendale realizzata attraverso processi aziendali, nell’ambito della sua gestione operativa, che seguono un’accurata pianificazione aziendale. Un’azienda può appartenere a uno qualunque dei settori del sistema economico: settore primario (es. azienda agricola/allevamento), settore secondario (es. industria), settore terziario(ad es. società di servizi).
Le aziende possono essere classificate secondo vari criteri, come, ad esempio:
- in relazione all’attività economica;
- in relazione al fine;
- in relazione al soggetto economico (ad esempio imprenditore, pubblica amministrazione, ecc.);
- in relazione al soggetto giuridico (società, holding, ecc.);
- in relazione alla dimensione.
Classificazione in relazione all’attività economicaModifica
Esistono tre categorie:
- di erogazione: fanno parte di questa categoria tutte le aziende come la famiglia, le associazioni private e parte della pubblica amministrazione, che erogano e consumano beni e servizi;
- di produzione: comprende tutte le aziende che acquisiscono e producono beni e servizi (per definizione, si tratta delle imprese);
- composte pubbliche: raggruppa gli appartenenti alle precedenti due classi, come ad esempio lo Stato, la Regione, la Provincia, il Comune, l’Azienda sanitaria locale.
Classificazione in relazione al fineModifica
Se per fine si intende la creazione, l’accrescimento e la distribuzione di valore, allora è possibile delineare cinque diverse tipologie di azienda:
- familiare: persegue il suo scopo tramite valori non economici (come l’assistenza reciproca, i sentimenti, ecc.) ed economici (consumi, investimenti e risparmio). Tipicamente è un’azienda di consumo in cui il risparmio è formato dalla differenza tra redditi di lavoro e capitale da una parte, e consumi e investimenti dall’altra; se le uscitesuperano gli introiti si accede al finanziamento di terzo. Non va confusa con l’impresa familiare, cioè l’istituzione economica che impiega membri della stessa famiglia e che è volta a produrre reddito.
- pubblica: si occupa in primo luogo di soddisfare i bisogni pubblici, inoltre crea, accresce e distribuisce valore non solo in relazione alla collettività; ma coinvolgendo anche altri soggetti (stakeholder) quali fornitori, dirigenti, dipendenti pubblici, clienti, concorrenti, ecc. In Italia, recentemente, si è assistito alla privatizzazione di molte aziende pubbliche (tra le altre: Telecom Italia, INA Assitalia, Comit, Credito Italiano e Alitalia).
- di produzione: ha come fine diretto (principale) la produzione e distribuzione di ricchezza e come fine indiretto (secondario) il soddisfacimento dei bisogni umani. Si chiamano imprese perché operano in un’economia di mercato e sono soggette al rischio del capitale investito. A seconda del settore in cui operano, possono essere ulteriormente classificate in: aziende del settore primario (agricole, minerarie), del settore secondario (industriali, edili), del settore terziario (commerciali, mercantili, bancarie, assicurative, di servizi), del settore terziario avanzato(informatiche, di consulenza).
- non profit: si tratta di aziende che non hanno fini di lucro soggettivo, nel senso che, pur potendo realizzare dei risultati economici e finanziari positivi, questi non vengono distribuiti al soggetto economico. È tuttavia lecito che svolgano una qualche attività commerciale inerente all’oggetto socialepurché essa sia solo marginale o rientri all’interno di finalità di utilità sociale. Un discorso particolare vale per le ONLUS(Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale). Si tratta di una qualifica ai fini delle imposte – ovvero che incide sulle modalità di pagamento delle imposte – che possono assumere le aziende non profit che operano in uno dei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sociale, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela e promozione dei beni storici e artistici, tutela dell’ambiente, promozione culturale e artistica, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica. Tali società devono essere iscritte all’anagrafe delle ONLUS, presso la Direzione Regionale delle Imprese per avere diritto a particolari vantaggi fiscali (non sono soggette a tassazione).
- mutualistiche: comprendono cooperative, società di mutua assicurazione e consorzi di cooperative. La cooperative hanno uno scopo principalmente mutualistico che consiste nel fornire beni o servizi o lavoro direttamente ai soci, in modo più vantaggioso rispetto alle condizioni del mercato. Lo scopo mutualistico assicura la limitata distribuzione degli utili tra i soci e la devoluzione a scopi di utilità pubblica del patrimonio sociale, in caso dello scioglimento della società. Oltre ai soci ordinari è possibile che ci siano dei soci sovventori che investono nella cooperativa al fine di ottenere un interesse sul capitale investito. Le attività che possono essere svolte in forma cooperativistica comprendono: consumo, produzione, lavoro agricolo, edilizia, trasporti, pesca, economia sociale. Le società di mutua assicurazione sono cooperative che si occupano di attività assicurativa (ramo vita e ramo danni), sono a responsabilità limitata e il capitale sociale è costituito dai contributi versati dai soci, che servono anche come premi assicurativi.
Quale che sia la “veste” e il “fine” specifico di ogni categoria di azienda, qualora assuma contenuto imprenditoriale si ritiene che comunque non possa prescindere dall’affrontare positivamente il tema della responsabilità sociale d’impresa.
Classificazione in relazione al soggetto economicoModifica
Il soggetto economico è la persona o il gruppo di persone che di fatto ha o esercita il potere decisionale nell’azienda. La definizione di soggetto economico è stata estesa a tutti gli stakeholders.
I principali stakeholders, presenti in maniera differente nelle diverse tipologie di azienda sono:
- azionisti o soci di maggioranza
- manager o dirigenti
- lavoratori dipendenti e autonomi
- fornitori
- finanziatori e istituti di credito
- amministrazione finanziaria o Erario
- clienti
- concorrenti
Classificazione in relazione al soggetto giuridicoModifica
Si distinguono due tipi di soggetti giuridici:
- l’imprenditore con la sua impresa individuale, in cui soggetto economico e soggetto giuridico coincidono;
- le società in cui due o più persone svolgono un’attività economica (e i due soggetti sono distinti). Alla base della società c’è sempre un contratto che sancisce:
- l’accordo tra due o più persone (fisiche o giuridiche) dette soci
- il conferimento di beni nella società da parte dei soci.
A queste classi corrispondono diverse definizioni:
- si ha l’impresa individuale quando il soggetto giuridico è una persona fisicache risponde coi propri beni delle eventuali mancanze aziendali. Tale impresa non gode quindi di autonomia patrimoniale: se viene dichiarata fallita, anche il suo imprenditore è fallito. Per quanto riguarda l’imposizione fiscale, il reddito dell’impresa è soggetto a Irap(Imposta Regionale sulle Attività Produttive, solo se ha collaboratori e/o più beni svolti alla produzione di beni e servizi, se il lavoratore è singolo e ha sede legale a casa, non si paga l’IRAP) e IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Esistono inoltre delle semplificazioni relative alla contabilitàche l’Amministrazione Finanziaria concede: la contabilità semplificata (che consiste nei soli libri IVA). Sono concettualmente simili all’impresa individuale quella familiare (formata al 51% dal titolare e al 49% dai suoi familiari) e quella coniugale (formata solo da marito e moglie).
- la società di persone è caratterizzata da un’autonomia patrimoniale imperfetta, in cui cioè il patrimonio della società non è perfettamente distinto da quello dei soci, per cui i creditori possono rivalersi (se il patrimonio societario è insufficiente) anche sui beni del socio (solitamente non vale l’inverso). Si può avere una società semplice nel caso in cui non sia necessario svolgere un’attività commerciale, ma si abbia la necessità di gestire un’attività (agricola o professionale, come ad esempio uno studio associato); una società in nome collettivo in cui tutti i soci sono responsabili in egual parte e con tutto il loro patrimonio delle obbligazioni della società o una società in accomandita semplice in cui i soci accomandataririspondono come nella Società in nome collettivo e i soci accomandantirispondono invece limitatamente al capitale conferito. In tutti e tre i casi non si ha l’obbligo di versare un capitale sociale minimo, ma è necessario avere un atto costitutivo e redigere un bilancio d’esercizio (che può non essere depositato al Registro delle Imprese).
- le società di capitali sono dei soggetti giuridici totalmente autonomi che godono di autonomia patrimoniale perfetta (il loro patrimonio è distinto da quello dei soci). Le forme riconosciute dal diritto italiano sono: società a responsabilità limitata, società per azionie società in accomandita per azioni. Nelle ultime, il socio accomandatario (amministratore) risponde illimitatamente col suo patrimonio delle obbligazioni sociali se il patrimonio della società non è sufficiente. Le società di capitali hanno l’obbligo di versare un capitale sociale minimo e di approvare il bilancio annuale che va depositato presso il Registro delle Imprese.
- tra le altre forme possibili si trovano le associazioni temporanee d’impresa, i consorzi e il GEIE (Gruppo Europeo di Interesse Economico).
Le aziende non sono solo espressione di imprese private: anche la Pubblica amministrazione dà vita ad aziende (a volte sono ex enti di diritto pubblico), quali società multiservizi, società partecipate, società a capitale misto, ecc.
Classificazione in relazione alla dimensioneModifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Piccola e media impresa e Multinazionale. |
Questo tipo di suddivisione necessita di un discorso particolare. Infatti, mentre è pressoché immediato stabilire quali possono essere le classi, non è così semplice trovare un criterio uniforme di assegnazione.
Le tre classi sono:
- piccola (e micro)
- media
- grande
Tra i molteplici criteri si può citare:
- fatturato
- numero di dipendenti
- bilancio
- valore aggiunto
L’Unione europea ha stabilito una convenzione unificata basata sui primi tre, vedi PMI in Europa.
Il trasferimento è disciplinato da specifiche disposizioni che in parte derogano il diritto comune per quanto riguarda la successione nei contratti, la cessione di crediti e debiti, in particolare per quel che riguarda il consenso del debitore, deroga all’art.1406 c.c. dato che il lavoratore non può opporsi. L’azienda può essere trasferita sia per atto “inter vivos” sia “mortis causa”, ma può anche avvenire sia con accordo delle parti, sia in forma coattiva con provvedimento amministrativo o giudiziario. Si è recentemente considerata l’ipotesi che fusione e scissione possano operare un trasferimento d’azienda: se prima ciò non era considerato trasferimento d’azienda, con la consistente riforma societaria degli anni 2000 la fusione, specialmente eterogenea, non è stata più vista come scomparsa e ricostituzione dell’ente.
Il trasferimento d’azienda è disciplinato dall’art. 2112 c.c. che obbliga l’acquirente a mantenere i rapporti di lavoro e lo impegna solidalmente dei crediti maturati dai lavoratori.
L’azienda può essere trasferita dall’imprenditore ai propri discendenti tramite la stipulazione di un apposito atto inter vivos, il patto di famiglia (contratto), istituto disciplinato dagli artt. 768-bis segg. del codice civile.
Oggetto del trasferimentoModifica
Si è discusso molto in dottrina su quale fosse l’oggetto del trasferimento. Due sono le interpretazioni principali:
- Attività e azienda inscindibili: concezione giuslavoristica più antica e derivata anche dalle posizioni del diritto commerciale, ritiene l’azienda, complesso di beni, perfettamente inscindibile con l’attività affinché possa esserci un’impresa, e pertanto non trasferibile isolatamente
- Attività e azienda scisse: concezione più moderna e più accolta dalle dottrine giuslavoriste, ritiene possa essere ceduta anche l'”azienda inerte”, partendo dalle considerazioni che l’azienda possa anche essere costituita anche solo dalle competenze professionali dei lavoratori e che comunque l’attività è legata alla persona dell’imprenditore che l’acquista a titolo originale. Tra l’altro con questa impostazione, la cerchia dei cessionari aumenta notevolmente perché non c’è il requisito dell’essere già imprenditori.
La legislazione comunitaria ha contribuito all’evoluzione del concetto di trasferimento d’azienda: se in particolare le varie direttive sembrano identificare l’azienda come complesso di beni organizzato per l’attività d’impresa, la giurisprudenza comunitaria dà un indirizzo ben preciso nella sentenza Suzen[1] stabilendo che,
- non c’è trasferimento quando:
- l’operazione non include beni significativi per l’esercizio dell’attività
- il trasferimento non include un’entità economica con propria identità
- c’è trasferimento quando:
- esso abbia come oggetto un’entità economica stabile e adeguatamente strutturata e autonoma
- l’identità e la gestione dell’entità economica sia stata ripresa o proseguita
La sentenza pone pertanto come parametro il momento causale del trasferimento.
Alla luce dell’attuale normativa viene considerato trasferimento d’azienda ogni processo che determina il cambiamento di titolarità di un’attività economica organizzata: il 5º comma dell’art. 2112 c.c. parla di attività economica organizzata, che interpretata anche con la direttiva comunitaria dà una definizione dell’oggetto del trasferimento concernente organizzazione e attività.
Trasferimento del ramo d’aziendaModifica
Il “ramo d’azienda” è trasferibile così come l’azienda intera, anche se non ha le stesse garanzie per i lavoratori dell’intero complesso aziendale: identificato come “articolazione funzionalmente autonoma”[2], dopo la riforma del 2003 è liberamente identificabile dagli imprenditori che operano il trasferimento purché risponda al requisito dell’autonomia funzionale. Il lavoratore può solo presentare le dimissioni per giusta causa se le condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica. C’è da sottolineare che il ramo d’azienda non viene menzionato dall’art. 2112 c.c. ed, essendo molto più flessibile rispetto all’intera azienda, spesso i lavoratori invocano l’art.1406 c.c. in modo che possano bloccare un trasferimento per loro svantaggioso.
EsternalizzazioniModifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Esternalizzazione. |
Altro problema suscitano i trasferimenti operanti in quei settori d’azienda identificati come outsourcing, fra tutti l’appalto. Il legislatore si è preoccupato nel 2003 di disciplinare questi fenomeni coordinandoli alla disciplina dell’art. 2112 c.c. In particolare fissa la solidarietà dell’appaltante “fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui i lavoratori propongono la domanda”. Nell’appalto di servizi, il committente è obbligato in solido fino al termine di un anno dalla fine dell’appalto.