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BENI IN COMPROPRIETA’
La disciplina è dettata in tre articoli, gli artt. 599, 600 e 601 c.p.c.
Il comma 1 dell’art. 599 c.p.c. sembra riferirsi esclusivamente alla comproprietà ma si ritiene che oggetto di espropriazione possa essere il diritto del partecipante ad una comunione di qualsiasi diritto reale di godimento, dunque non solo la proprietà ma ogni altro diritto reale minore autonomamente alienabile come la nuda proprietà, l’usufrutto non legale, il diritto di superficie, il diritto dell’enfiteuta e del concedente sul fondo enfiteutico.
Non realizza, invece, uno stato di comunione la coesistenza sul bene della nuda proprietà e dell’usufrutto (od uso od abitazione) o la presenza di servitù prediali atteso che, costituendo diritti reali diversi, essi danno luogo – ove spettino a più persone – a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene e non anche ad una comunione in senso proprio, configurabile viceversa in presenza della contitolarità del medesimo diritto reale [nota 1].
Esula, inoltre, dalla disciplina di cui agli artt. 599 e ss. c.p.c. – che, come detto, riguarda il pignoramento di un bene in comunione nei limiti di uno o più quote – l’esecuzione avente ad oggetto un appartamento di proprietà esclusiva in edificio condominiale ancorché allo stesso accedano le quote sulle parti comuni dell’edificio [nota 2].
La lettera della legge sembra, inoltre, escludere dall’ambito applicativo della norma de qua le compartecipazioni sociali, le comunioni ereditarie, ed in genere quelle aventi ad oggetto un patrimonio o la contitolarità di un credito.
In ogni caso, ogni qualvolta il pignoramento colpisce la quota di uno solo ovvero di alcuni soltanto dei comproprietari, vengono inevitabilmente coinvolti nella vicenda espropriativa uno o più soggetti estranei alla situazione debitoria che ha dato causa all’esecuzione, la cui sfera giuridica viene incisa in maniera più o meno significativa dall’espropriazione della quota.
Tale incidenza si manifesta sia durante lo svolgimento del processo esecutivo, nel corso del quale le facoltà dei contitolari non obbligati verso il creditore subiscono una compromissione per effetto degli atti esecutivi rivolti contro il debitore (ad es. in punto di custodia dell’intero bene), sia dopo la vendita o l’assegnazione della quota, per effetto della modificazione della struttura soggettiva della contitolarità conseguente alla sostituzione del terzo al partecipante esecutato.
Tale coinvolgimento nella vicenda esecutiva di contitolari non assoggettati all’esecuzione comporta, da un lato, la necessità di impedire che i condividenti colludano con il debitore procedendo ad una divisione in pregiudizio del creditore e, dall’altro, la necessità di procedere all’audizione di detti soggetti al fine di acquisire elementi utili in ordine alla liquidazione della quota sottoposta a pignoramento.
Lo strumento processuale per attuare tali finalità è rappresentato dall’avviso previsto dagli artt. 180 disp. att. c.p.c. e 599 c.p.c. che il creditore procedente (od altro legittimato a dare impulso alla procedura) ha l’onere di notificare ai comproprietari, in forme che non ammettono equipollenti [nota 3].
Si ritiene, peraltro, che la notificazione dell’atto di pignoramento ai contitolari non esecutati, contente il divieto di non far separare la quota del debitore, possa sostituire l’avviso in parola ma in tal caso il divieto sarà efficace solo dopo la trascrizione dell’atto.
L’avviso non va, invece, trascritto.
La notificazione dell’avviso – ritenuto condizione per la proseguibilità dell’esecuzione in un obiter dictum della Corte di Cassazione [nota 4] – si configura come mero onere posto nell’interesse esclusivo del creditore [nota 5], elemento accessorio la cui mancanza non determina la nullità del pignoramento ma solo il venir meno del principale effetto che consegue alla stessa: la preclusione della facoltà di procedere alla divisione del bene.
Il principale effetto prodotto dall’avviso in commento è, infatti, quello di rendere da tale momento inopponibile alla procedura una eventuale divisione volontaria che potrebbe essere attuata in frode ai creditori o, comunque, in loro pregiudizio.
In mancanza dell’avviso, dunque, il pignoramento è valido ma l’eventuale divisione sarebbe opponibile ai creditori esecutanti e al terzo aggiudicatario, stante l’effetto retroattivo della divisione di cui all’art. 757 c.c., a far data dalla costituzione della comunione [nota 6] .
Detto principio «non trova ostacolo nel disposto dell’art. 2913 c.c. circa l’inefficacia in pregiudizio del creditore degli atti successivi al pignoramento, il quale riguarda la diversa ipotesi degli atti con cui il debitore trasferisca ad altri il diritto di proprietà o costituisca in favore di altri diritti reali sull’immobile oggetto di esecuzione» [nota 7] .
Gli effetti sostanziali della notifica dell’avviso ex art. 599 c.p.c. sono rigorosamente circoscritti al divieto di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice, mentre è esclusa la inefficacia delle alienazioni.
I contitolari, pertanto, devono ritenersi legittimati a disporre della propria quota senza incorrere nella sanzione di inefficacia di cui all’art. 2913 c.c.
In mancanza dell’avviso, inoltre, la eventuale vendita giudiziale della quota del soggetto non esecutato sarebbe da questo impugnabile in rivendica [nota 8].
Per tale motivo l’avviso deve essere, quindi, notificato non soltanto ai comproprietari non debitori, ma anche ai soggetti indicati dall’art. 1113 comma 3 c.c., ed in particolare ai creditori iscritti, al fine di tutelarne la garanzia ipotecaria [nota 9] e pena l’inopponibilità in loro danno della divisione.
L’avviso ha, in secondo luogo, lo scopo di provocare la comparizione dei comunisti per l’udienza di cui all’art. 600 c.p.c. nel corso della quale, unitamente agli altri soggetti interessati, essi dovranno essere sentiti al fine di acquisire elementi utili in ordine alle modalità con le quali procedere alla liquidazione della quota [nota 10]; non per questo però i soggetti convocati devono essere autorizzati a proporre, in detta udienza, domanda od istanze circa le suddette modalità [nota 11] .
La norma sopra indicata si riferisce testualmente ai “comproprietari”, ossia ai titolari del diritto dominicale (nudo o pieno) sul bene pignorato.
Peraltro, sia pure in linea teorica, è possibile sia pignorata una quota di usufrutto (o di altro diritto reale parziario espropriabile), coesistente, pertanto, con altre quote di usufrutto non pignorate od anche con la piena proprietà sulla restante quota.
In tal caso si verifica uno stato di comunione avente ad oggetto un diritto reale di godimento (cousufrutto) ovvero di comunione di godimento fra usufruttuario e pieno proprietario [nota 12], ipotesi in relazione alle quali, visto che l’art. 599 comma 2 c.p.c. parla solo di comproprietari, si è dubitato dell’applicabilità della norma.
L’avviso ex art. 599 c.p.c. deve, invece, sicuramente essere notificato ai contitolari del diritto di proprietà superficiaria qualora ne venga pignorata una quota, ma non ai superficiari quando venga pignorata la proprietà gravata dal diritto di superficie, poiché in tal caso non si configura uno stato di comunione fra tali due diritti reali.
Come detto non sono comunisti i titolari di diritti reali parziari che coesistono con la proprietà (nuda o piena), cosicché – non potendo i titolari di tali diritti separare questi dalla proprietà – gli usufruttuari, gli usuari, gli abitatari, i titolari di servitù, i superficiari e gli enfiteuti non sono destinatari dell’avviso ex art. 599 comma 2 c.p.c.
Quanto al contenuto dell’avviso, nella prassi i creditori si limitano a riportare il solo invito a non sciogliere la comunione (il c.d. il divieto di lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice), omettendo la “citazione” a comparire per l’udienza di cui all’art. 600 c.p.c., e ciò accadeva anche in considerazione delle modalità con cui, prima della riforma, si procedeva alla liquidazione della quota del debitore, ossia mediante la vendita della quota indivisa.
Le modifiche normative: le opzioni previste dall’art. 600 c.p.c.: la separazione in natura; la vendita della quota indivisa; il giudizio di divisione
Con la riforma attuata con la L. n. 80 del 14 maggio 2005 e successive modifiche il legislatore ha introdotto una modifica particolarmente incisiva nella disciplina dell’espropriazione di beni indivisi, recependo le c.d. “prassi virtuose” di molti Tribunali d’Italia che, nell’ipotesi di pignoramento di quota indivisa di un bene in comunione, anziché porre in vendita la stessa, optavano per le altre soluzioni previste dall’art. 600 c.p.c., vale a dire la separazione in natura o l’instaurazione del giudizio di divisione, in modo da pervenire per tali vie ad una – quantomeno potenziale – miglior realizzazione della quota oggetto di azione esecutiva, posto che nell’uno e nell’altro caso, in luogo di una quota astratta, di difficile appetibilità, si immette sul mercato una porzione immobiliare concreta (nella separazione in natura) se non l’intero immobile (attraverso la vendita, nel giudizio di divisione, dell’intero immobile che, come di frequente accade, non sia comodamente divisibilità).